di Matthew Licht
Per lavoro accoglievo persone non vedenti all’aeroporto Kennedy e le accompagnavo a un istituto caritatevole nei pressi di Troy, New York. Era una specie di scuola dove a ogni non vedente veniva affiancato un cane guida per imparare a lavorare insieme.
Erano quasi sempre viaggi andata-ritorno: scaricavo una persona, portavo via un gruppo e ogni tanto passavo qualche notte all’istituto. La struttura era in mezzo alla campagna, l’aria era pulita e fresca, il rancio, buono, e avevo adocchiato una donna dell’amministrazione.
Livia ci vedeva, ma non tanto bene. I suoi occhiali spessi e i suoi folti capelli bianchi la facevano sembrare un barbagianni. Inoltre poteva guardare l’orologio alla parete mentre controllava le ricevute che le davo per la benzina, per i pasti nei diner e per altre spese. Se la invitavo a ballare, ad andare all’autodromo o a cena in un ristorante di Albany, rideva. L’idea di tali pittoresche interazioni umane sembrava divertirla.
Riscuotevo anche un certo successo con le passeggere cieche, che si orientavano in modo istintivo con persone e territori sconosciuti. Una sudamericana dai capelli corvini e dagli occhiali opachi mi disse che era stata male sull’aereo e che ora soffriva il mal d’auto. Aveva bisogno di una pausa: voleva sentire la terra ferma sotto di sé. Svoltai in una strada provinciale e ci fermammo a una fattoria abbandonata vicina a un lago. Lei non sapeva nuotare, ma le piaceva galleggiare sull’acqua calda in superficie. Sdraiati al sole su una coperta stesa sull’erba rigogliosa della sponda, mi sussurrò che ci eravamo conosciuti in una vita precedente. Mentre si sistemava i capelli, predisse che sarei morto in uno scontro con un camion carico di solventi, per un colpo di sonno del guidatore. Non poteva, o non voleva, dire se avrei avuto a bordo un passeggero ipovedente, con o senza cane guida. Si rifiutò di specificare una data. Quando le chiesi se avesse previsto anche la sua morte, rispose che era una storia privata. Le chiesi se ci saremmo incontrati di nuovo nelle nostre prossime vite. Disse che era un segreto. Quando la riportai all’aeroporto, la settimana successiva, era in compagnia di un labrador nero. Lei non parlò, come se la sua esperienza alla scuola per cani guida l’avesse resa muta. Da dietro i suoi occhiali neri come una notte d’estate senza luna fissò dritto davanti a sé per tutto il tragitto. Il cane mugugnava e sbadigliava. Arrivati all’aeroporto, mi abbracciò forte e sussurrò: − Mi dispiace. Non dovevo dire nulla. E poi mi sono sbagliata.
Quando ero in città, lasciavo la macchina da un amico, proprietario di una villa gotica nelle profondità di Brooklyn, con annesso un ampio garage. George era un artista di successo. Dipingeva nudi colossali da prospettive inquietantemente ravvicinate. Quando gli raccontai del mio lavoro con i ciechi e i cani guida, disse che le circostanze della vita mi avevano trasformato in un moderno Caronte al rovescio. Trasportavo anime cieche verso un posto dove gli veniva ridata la luce attraverso gli occhi degli animali.
− Hai mai pensato alle possibilità visive suggerite da persone non vedenti e la pittura ad olio? – mi chiese George.
Non ci avevo mai pensato.
− Il problema − continuò − è che queste anime ottenebrate sono anche persone normali con programmi e orari di volo. Come li induciamo a mollare tutto per mettersi in posa?
− Potremmo provare semplicemente a chiederglielo − dissi. − Forse non vedranno nemmeno i problemi delle eventuali deviazioni dal naturale svolgimento delle cose.
Il naturale svolgimento delle cose si fa notare parecchio sulle strade tra l’aeroporto e la valle del fiume Hudson. Tacchini selvatici sorpresi da claxon spiccano il volo. Di notte, cervi ipnotizzati dai fari rimangono di stucco ai bordi della strada e poi scappano via terrorizzati appena ricade il buio. Molte bestie vengono asfaltate da veicoli in movimento. Come la luce che s’incurva viaggiando attraverso lo spazio, i guidatori sterzano per evitare sia la vita che la morte.
− Senza falsa modestia − continuò George − credo di aver guardato più profondamente dentro i buchi umani di tanti altri artisti. Bocche, ani e vagine hanno perso per me il loro mistero. Il prossimo passo logico è tuffarmi nelle iridi.
La logica degli artisti è una cosa a parte. − Insomma, vuoi esplorare buchi neri umani dentro i quali nemmeno la luce può penetrare?
− Esattamente.
Caronte fa da navetta, assiste nell’appaiare umani e animali, procura modelle per ricerche pittoriche. È un magnaccia su quattro ruote, oppure un agente dell’immortalità.
Non tanto tempo dopo, andai all’aeroporto per accogliere due donne inglesi. Erano alquanto alticce. I ciechi apprezzano i cocktail offerti dalle linee aeree, come chiunque.
L’abitacolo della macchina si riempì di alcol passivo. Abbassai il finestrino.
− Uh! Mi rovini la pettinatura − disse una delle donne dietro.
− Non potremmo fermarci da qualche parte per bere qualcosina? − chiese l’altra. − Avremmo anche bisogno del bagno.
Era la prima volta che venivano nell’ex colonia. Trovarono deliziosi gli hamburger, orrenda la birra fredda in lattina. Imitarono l’accento della cameriera. Probabilmente avrebbero trovato buffi anche i vari contadini, cacciatori e camionisti seduti sugli sgabelli al banco. Sheila aveva perso la vista per via di una malattia genetica. Tamsin era rimasta cieca dopo un infortunio sul lavoro.
Dopo un po’ anche la birra americana non gli sembrò così male. Fuori, nel parcheggio, un mastodontico biker si offrì di portarle a fare un giro sulla sua Harley. Il suo odore le fece innervosire.
− Forza − dissi. − Non perdetevi questa tipica esperienza americana.
Le loro urla e i ruggiti del motore echeggiarono e si dispersero tra il fogliame degli aceri, pioppi e frassini che mostravano già i loro colori autunnali.
− Uh, il vento!
− Uh, hai sentito le sue braccia?
Quando giungemmo all’istituto, andai in ufficio e chiesi di poter restare qualche notte.
− Nessun problema − disse Livia e mi toccò la mano passandomi la chiave di una delle camere. Qualcosa era cambiato.
Quella sera andammo in un locale che le piaceva. L’illuminazione era mite, la musica soave e la gente ballava. Livia non si era truccata. Sotto la gonna e la blusa non portava niente. Non aveva luci in camera né persiane alle finestre. Passammo insieme un fine settimana lento e intenso. Per l’istituto era la bassa stagione. Cominciò a piovere, parecchio, ed era bellissimo così.
A Tamsin era toccato un terranova, a Sheila un pastore bernese. La cabina si riempì di scoregge di cane. Abbassai di nuovo il finestrino.
− Uh!
− Oh!
I bravi cani lavoratori resistettero all’impulso di lanciarsi in avanti per sporgere le teste.
− Sentite − urlai. − Se vi va bene, potremmo fermarci da un mio amico prima di andare all’aeroporto. Lui è un artista, ed è molto ricco. Ci farà un pranzo memorabile.
Scambiarono sguardi inutili. Chi è diventato cieco da adulto non perde l’abitudine.
− Vuole dipingerci?
− Tutte nude?
Erano dotate di vista extrasensoriale. − Ehm, forse. Se glielo chiedete in modo cortese.
Dopo un impressionante pranzo e qualche bottiglia di ottimo vino, George scattò delle polaroid e fece dei rapidi schizzi a matita. Il tempo passò troppo in fretta. Tamsin e Sheila si rivestirono disordinatamente, ma non persero l’aereo.
L’incidente avvenne mentre ero diretto di nuovo in città.
La sibilla cieca aveva sbagliato alcune cose. La cisterna del camion era piena di carburante per reattori. Alcune macchine nelle corsie attorno furono vaporizzate dall’esplosione, quindi, in un certo senso me la cavai con poco. Ricordo solo un biancore abbacinante, poi il mondo della luce smise di esistere.
L’istituto caritatevole mi assunse come lavapiatti. I nuovi quadri di George fecero il solito scalpore e riscossero il solito successone. Invitò Sheila e Tamsin all’apertura della mostra, pagandogli pure il viaggio sulla Concorde. Mandò il suo autista a prendere me e Livia. Venne alla nostra festa di matrimonio in una spider inglese, e ogni tanto torna a trovarci.
Questa è una storia allegra, davvero.
Autore: Matthew Licht scrive per adulti infantili e adolescenti svegli. Vive con due certezze: che per ogni ora che sta seduto a scrivere deve pedalare in salita per almeno due, e che se mai dovesse rimettere piede sull’isola di Manhattan verrà subito travolto da un autobus. Su Stanza 251 appare settimanalmente il suo blog Hotel Kranepool, che tratta di ospitalità metafisica.
[Foto di copertina: Matthew Licht, 2020]