Erba matta, Laura Bosio, Aboca, 2021
Certi sabati mattina mio padre sente l’esigenza di sradicare le erbacce che spuntano sulla rampa del garage di casa. Certi sabati mattina sento l’esigenza di mettermi davanti a mio padre intento a strappare fili d’erba e, invece di aiutarlo, chiedergli che noia gli danno quelle erbacce; perché affannarsi tanto dietro quegli sparuti fili d’erba, che comunque non trasformeranno la rampa del garage in una giungla, e non impiegare invece il suo tempo libero per riposarsi, ad esempio. Lui dice che lo fa per l’ordine, che una casa richiede cura. Per me è più una questione di possesso: lui, quell’erba, la vede come un’attentatrice alla sua proprietà privata, non le riconosce nessun diritto su quello spazio, senza interrogarsi sul fatto che forse, prima di una colata di cemento, era l’erba lo spazio. Credo sia una questione di prospettiva. Siamo troppo abituati a osservare le cose dall’alto, non solo non ci abbassiamo più ma stiamo anche disimparando a ricordare come si fa. Se lo ricorda benissimo invece Laura Bosio che, nel suo ultimo libro, si piega per scrutare da vicino quella vegetazione mai stata così umana ma comunque non gradita che spinge sulle crepe dei muri, delle case, delle strade, del cemento, solo per ricordare al mondo la propria esistenza.
In Erba matta, pubblicato di recente da Aboca, nuova narrazione piantata nella collana “Il bosco degli scrittori”, Laura Bosio, con una scrittura piena di un’eleganza eversiva, spinge sulle crepe di una società sempre più stratificata per far uscire presenze mai benvenute, ostinate, disordinate, inopportune, costrette a vivere negli interstizi, ai confini, di una contemporaneità troppo prepotente e troppo ordinata.
Fra le tante fughe di pensiero che l’autrice restituisce c’è quella di una natura costantemente attaccata ma che continua a resistere, a scavare, a inerpicarsi, in cerca di una strada, di uno spiraglio, proprio come tutte quelle persone, denominate “migranti”, che attraversano il deserto, il mare, la Libia, la burocrazia, alla ricerca disperata di uno spiraglio dal quale scorgere solo possibili lieto fine. Ma molto spesso, proprio come se fossero erbe infestanti, anche quello spiraglio è loro precluso, ricoperto da colate di pregiudizi, che hanno lo stesso peso specifico del cemento.
Il libro è a sua volta una vera e propria “erba matta”, pieno di una risoluta vitalità, grazie alla voce in prima persona della protagonista che racconta la storia di generazioni, minoranze, che crescono con la grazia non dei fiori ma delle erbacce, tra militanza politica, disegni a matita di piante o erbe, battaglie perse, esistenze storte, discussioni cinematografiche, e tanta incertezza.
Erba matta di Laura Bosio è guardare dal basso, osservare tutto da un’altra angolazione, indagare diversamente per capire cosa è andato storto e magari provare ad aggiustarlo. Lo sguardo dal basso, come dice l’autrice in un’intervista per il quotidiano digitale “affaritaliani.it” (intervista completa qui) è “la bellezza di abbassarsi, di abbandonare il punto di vista sopraelevato e di perdersi negli accidenti delle superfici. Negli altri così come sono, come siamo. Vedendo il rimosso delle città e delle campagne. Per ripopolare di nuova vita il deserto che ci stiamo costruendo intorno”.
[Immagine di copertina: L’ombre, la lumière, Jean-Pierre Velly, 1990]