La raccolta Mi raccomando tutti vestiti bene è uscita per Mondadori nel 2006, non esattamente una novità quindi. Perché (ri)leggere Sedaris e parlarne, dunque? Perché ogni tanto vale la pena ricordarsi e ricordare che si può non prendersi troppo sul serio e usare quel raffinato registro di ironia e comicità che, a volerlo far bene, è difficile da realizzare: David Sedaris in quest’arte è un maestro.
Giovanna Daddi
Giovanna Daddi
È fiorentina, ma non dirà mai che Firenze è la città più bella del mondo, anche se lo pensa. Ama l’acqua, i gatti e Keith Richards. Ma più di tutto ama le storie. Le ha sempre ascoltate e lette, finché a un certo punto ha iniziato a scriverle. Molte sono ancora nella sua testa e usciranno quando riuscirà a smettere di fumare. Forse. Sono patti strani.
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Per la mia generazione Libero De Rienzo è essenzialmente “Bart”, Bartolomeo Vanzetti, il co-protagonista del primo lungometraggio di Marco Ponti, Santa Maradona.
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“Fonderie. Fumi viola, tossici e nauseabondi, ma bellissimi come spettacoli pirotecnici agli occhi di una bambina. Vetri rotti colorati dalla luce, tanti colori diversi che trasformano cortili abbandonati in caleidoscopi di meraviglie stupefacenti”.
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“(Ancora. Sì, ancora)
Questa recensione doveva uscire alcuni mesi fa, poi, per vari motivi, non l’ho scritta. Nel frattempo di questa serie ne hanno parlato praticamente tutti, come era prevedibile. E quindi il dubbio: la scrivo o no? Ho deciso per il sì”.
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Aldo aveva settant’anni ma ne dimostrava cinquanta, grazie all’egoismo imperturbabile che aveva esercitato per tutta la vita, senza mai cedere al minimo dubbio. E grazie anche alla brillantina Linetti con cui impomatava i capelli, ancora tutti neri, ogni giorno al mattino: barba, dopobarba Prep, acqua di Colonia, brillantina.
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Elena inizia a cercare la madre e, al tempo stesso, a indagare i suoi ricordi: indagine del presente e indagine del passato, di un incidente che ha lasciato cicatrici profonde, indelebili e brucianti.
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Ma se in Woody Allen il perdente vince perché l’intelligenza e l’ironia lo portano a farsi beffe della sfiga, ci sono anche quei perdenti completamente tragici in cui il concetto di loser si estende dall’individuo alla società intera
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Negli anni, dopo quella perla della New Wave che è Siberia dei Diaframma (IRA, 1984), Fiumani ha scritto ancora e ancora, noi fan sappiamo a memoria le sue canzoni, i suoi testi per noi hanno un significato recondito che rimanda a mille sensazioni, e che lascia sempre, nel mistero irrisolto del “cosa avrà voluto dire”, la consolazione identitaria di quelli che si sentono sempre un po’ fuori posto.E adesso è tornato. Intendiamoci, non che se ne sia mai andato. Ma è uscito un nuovo album, l’Abisso, che ha il carattere e il tiro dei suoi pezzi storici e che ci racconta qualcosa di vivo e pulsante, un ritorno, perciò, dopo alcuni anni di silenzio dal punto di vista della produzione.Così abbiamo deciso di intervistarlo, e questo è il risultato, una chiacchierata di più di un’ora, davanti ai giardini di Campo di Marte, in un pomeriggio piuttosto freddo di gennaio.
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L’amore totalizzante di Simon è una folgorazione istantanea, un colpo di fulmine estetico e morale, un faro nel buio, un appiglio improvviso agognato e inaspettato, un baluardo contro la noia e la tristezza grigia della periferia londinese degli anni 70. L’evento che gli cambia la vita per sempre ha una data precisa: il 6 luglio 1972 il dodicenne Simon vede per la prima volta Bowie esibirsi in tv, alla nota trasmissione della BBC Top of the Pops.
Bowie cantava Starman, accanto a lui c’era Mick Ronson. -
Al concerto dei Diaframma alla Flog il freddo si scioglie in un attimo, i ricordi vagano e mi trovo di nuovo in quella piccola Brixton di cortili abbandonati, pieni di macerie, con cancelli arrugginiti e cadenti, che davano al quartiere quell’aria da periferia di Belfast. E invece era quella terra di mezzo, fra piazza Dalmazia e l’autostrada.