Future. Il domani narrato dalle voci di oggi. A cura di Igiaba Scego. Le autrici: Leila El Houssi; Lucia Ghebreghiorges; Alesa Herero; Esperance H. Ripanti; Djarah Kan; Ndack Mbaye; Marie Moïse; Leaticia Ouedraogo; Angelica Pesarini; Addes Tesfamariam; Wii. Effequ, 2019
“Il libro che avete in mano è un moderno J’accuse. Giovani e meno giovani donne italiane di origine africana hanno preso in mano una penna o, più realisticamente un computer e hanno scritto dei racconti che ci parlano di futuro”. Così Igiaba Scego presenta Future, un’antologia che raccoglie undici racconti scritti da altrettanti autrici nei quali si descrive, utilizzando stili e tecniche diverse, cosa significhi essere una donna nera in Italia. Tra di loro c’è anche Lucia Ghebreghiorges, che in questa raccolta ha pubblicato il racconto intitolato Zeta.
Come è nata l’antologia Future?
L’antologia Future è nata da un’idea di Igiaba Scego, che ne è la curatrice, e parte da un J’accuse, riprendendo quello di Emile Zola con il Dreyfus, che denunciò una discriminazione. Con questo passaggio metaforico, Igiaba voleva descrivere la situazione attuale degli afroitaliani – e più in generale delle persone di origine straniera – che sono in qualche modo vittime di discriminazione. Una discriminazione che non è soltanto istituzionale (penso ad esempio alla legge Bossi-Fini e a quella sulla cittadinanza) ma anche culturale. La stessa Igiaba spiega che dieci anni fa, anche dal punto di vista letterario e cinematografico, c’era un fermento verso gli autori di origine straniera – lei è stata tra le prime con i suoi racconti e con “La mia casa è dove sono”, e con lei anche Amara Lakhous e altri autori – dopodichè c’è stato un vuoto, un vuoto dal punto di vista culturale che poi si è accompagnato a una situazione che dal punto di vista sociale e istituzionale è andata a degenerare, fino agli attuali episodi più conclamati anche di razzismo.
Come hai già accennato, il messaggio politico è molto forte in questa antologia.
Questo è un messaggio che è composto da undici autrici, di età diverse, tutte donne (e anche questa è una scelta importante, perché la discriminazione femminile in Italia ha raggiunto livelli molto alti). Quindi donne, quindi afroitaliane: una doppia possibilità di discriminazione. È stata fatta questa scelta innanzitutto per sentire delle voci dirette: non sono testimonianze o rappresentazioni che vengono da altri. Io lo reputo poi anche un libro di sentimenti oltre che di idee; racconta cioè cosa significa oggi essere di origine straniera in Italia, con alcuni racconti che sono anche molto autobiografici, e altri che sono invece più di fiction, come per esempio il mio. Da questo punto punto di vista c’è anche una forte denuncia politica: da Alesa Herero, che nel suo racconto parla di cosa significa essere nera in questo Paese e accorgersi di essere nera, ad Angelica Pesarini, che racconta invece di un’Italia che ha rimosso il colonialismo. Nel suo racconto parla di una ragazza, Maddalena, e attraverso documenti ufficiali ricorda cosa vuol dire essere figli di una coppia mista sotto le leggi razziali.
Il titolo del libro è Future, ma l’Italia ha da tempo dimenticato di aver avuto delle colonie e di essere sempre stata un luogo di scambio importante, anche per la sua posizione geografica. In Italia non dovrebbe essere scontato che il cittadino sia bianco.
Assolutamente. Senza toccare la questione della migrazione italiana all’estero, c’è tutta la questione relativa al Corno d’Africa, quindi alle ex colonie, che l’Italia in qualche modo non ha mai elaborato. Da un punto di vista storico, in qualche modo c’è stata una cancellazione della memoria, e anche attraverso questa antologia c’è la volontà di ricordare all’Italia che cosa è accaduto. Abbiamo inoltre notato che, finalmente, questa antologia non è stata definita come “letteratura migrante” (cosa che negli anni passati accadeva anche alla stessa Igiaba Scego) ma sempre più viene messa in un contesto di letteratura italiana. Questo vuol dire che l’Italia di oggi è rappresentata non solo dall’italiano bianco, ma anche da persone che hanno origini diverse, alcune molto legate anche all’Italia, e infatti ci sono autrici dell’Eritrea, della Somalia oppure dell’Etiopia, come me.
Il rischio infatti di questa antologia poteva essere quello di trovarsi con un’etichetta addosso, e quindi nuovamente ghettizzate.
Sì, è un concetto che questa antologia voleva scardinare, anche perché non tutte le autrici si riconoscono nel concetto di “afroitaliane”. Io stessa mi rivedo in una rappresentazione più ampia, anche perché vengo da una storia di attivismo che coinvolge figli dell’immigrazione che provengono da tutti i continenti. Altre persone invece si riconoscono perfettamente in questo termine e altre ancora lo devono ancora elaborare perché sono molto giovani. L’età delle autrici va dai 20 ai 40 anni, e anche qui si vede come i punti di vista siano molto diversi, anche nella scelta della forma espressiva; c’è chi è più diretto, chi è più indiretto, c’è chi ha fatto fiction.
Parliamo quindi del tuo racconto, Zeta. Qui il tema della doppia identità della voce narrante è molto forte.
Sì. Il mio è un racconto di fiction e di immaginazione. Un po’ mi incuriosiva capire come potesse vivere una persona anziana di origine straniera perfettamente integrata e cresciuta in Italia. Poi ho scelto di affrontare anche il tema dell’adozione perché, un po’ come per una persona nata in Italia, anche qui ho pensato che ci fosse lo stesso tipo di rimozione: una rimozione delle radici e una rimozione di questa memoria che poi non viene trasmessa. In questo caso, racconto di una persona anziana si fa aiutare da un assistente virtuale per cercare di capire da dove viene e che cosa è accaduto nel suo Paese di origine, l’Etiopia. I video e fotografie le riportano una se stessa frammentata, perché per questa macchina è impossibile scavare troppo all’interno della memoria. Soltanto nella vecchiaia questa persona riesce a dire, a un certo punto, “Oggi ci sono”. L’assistente vocale poi assume la voce della protagonista da giovane e questo l’aiuta, nella vecchiaia, a ricomporre questo puzzle della sua vita che ha varie sfaccettature.
Parliamo dello stile: quali sono stati i tuoi modelli per scrivere questo racconto?
Per scrivere Zeta mi sono ispirata a una delle mie autrici preferite del momento, che è Annie Ernaux. Mi aveva molto colpito Il posto, che un po’ riprende il tema delle origini, e inoltre all’interno di Zeta c’è proprio una citazione ripresa da Memoria di ragazza.
La letteratura inoltre è sempre stata terra di contaminazione, un luogo dove le frontiere sono più che mai porose.
Esatto. Anche nella tecnica, c’è anche molto del mémorial, però è anche contaminato dalla fiction.
Future è stato accolto con grande entusiasmo. Che cosa vi augurate che accada adesso, anche da un punto di vista politico e culturale?
Future ha varie interpretazioni; da un lato ci sono persone e cittadine future che in qualche modo abiteranno sempre di più questo Paese, con la loro peculiarità di avere un’origine afroitaliana; dall’altro c’è anche l’incentivo, la speranza, che da queste undici autrici ce ne saranno anche altre che si affermeranno e continueranno a scrivere. Per esempio, Esperance Ripanti ha appena pubblicato il suo primo romanzo, E poi basta. manifesto di una donna nera italiana; io stessa sto lavorando ad altre cose (racconti ma anche altro) e l’augurio è che sempre di più si affermi una letteratura italiana che abbia dei punti di osservazione diversi.