di Matthew Licht
Deedee avrebbe dovuto essere felice: sua sorella Jo era stata eletta Miss Crema d’Arachidi per la Sfilata di Carnevale. Penserete che non è proprio come essere eletti Presidente o scelti per fare l’astronauta, ma a Corletta, Georgia, la capitale mondiale delle arachidi, essere Miss Crema d’Arachidi è ancora più importante.
Deedee aveva visitato mille volte il Museo delle Arachidi nel piccolo centro di Corletta, e non solo in gita scolastica. A volte ci andava per passare un pomeriggio afoso. Dentro il museo ti lasciavano in pace.
A casa di Deedee no. Erano in tredici tra fratelli e sorelle. A volte i suoi genitori guardavano i loro figli come se non ricordassero i nomi, o quanti anni avessero, o cosa facesse e cosa avesse questa loro creatura che la distingueva dalle altre.
Il Presidente Carter era nel Museo delle Arachidi, accanto a un giovane astronauta dello Space Shuttle, John Clayton, che era di un paesino a poche miglia da Corletta, anch’esso circondato da sterminate piantagioni di arachidi.
Per Deedee l’astronauta era l’uomo più bello del mondo, ma si era avventurato tra le stelle e non era più tornato. L’avevano visto in tivù. Non ha sofferto, aveva detto papà. Non si sarà accorto di nulla.
Ora sua sorella Jo sarebbe finita nel Museo con l’astronauta, per sempre. Nella stanza che conteneva le foto dei VIP del mondo delle arachidi, c’era il Muro delle Miss. I ritratti più vecchi erano in bianco e nero. Elaine Renko fu la prima Miss Crema d’Arachidi, nel 1956. La fabbrica Renko, un’importante manifattura di crema e olio d’arachidi, era di suo papà. All’annuale gita scolastica al Cremolificio, la classe di Deedee imparava che la frittura in olio d’arachidi rende il pollo superbamente croccante.
Elaine Renko, seduta sul cofano di una macchinona bianca decappottabile, sembrava in procinto di sposarsi, lustri fa: reggeva un mazzo di fiori e salutava una nebbia di astanti con la mano inguantata. Le Miss erano spose che sfilavano per unirsi a presidenti, industriali, agricoltori e a giovani astronauti morti nello spazio.
Anche Jo sarebbe finita nel Museo. Avrebbe regnato un anno. E per l’eternità.
Un signore in completo grigio era entrato nella classe di Jo con un mazzo di fiori. Ammutolirono tutti, persino Miss Ampers la maestra. L’uomo si schiarì la voce e disse che la fabbrica Renko Spa era lieta di annunciare… Jo! Le porse i fiori, le strinse la mano e se ne andò.
Alcuni ragazzi chiesero di accompagnarla a casa. Lei, scombussolata, ripeté no grazie, e alla fine rientrò da sola. In cucina scoppiò a piangere. La mamma ordinò a tutti di sloggiare perché ci voleva una chiacchierata privata.
Deedee uscì e s’incamminò lungo i binari dei treni merci, accanto ai quali sfrecciavano camion enormi. I guidatori suonavano il clacson, per salutare o per dire stai attenta piccola.
I treni passavano lenti, lunghissimi, cigolando. Deedee salutava i ferrovieri, che di solito rispondevano. Camion e treni si fermavano a Corletta, ma gli uomini a bordo non andavano al Museo delle Arachidi. Andavano al Drop Inn Café.
Barbara, la cameriera, era stata Miss Crema d’Arachidi del 1977.
Secondo Deedee, Barbara era grassoccia. Forse mangiava troppo pollo fritto.
A scuola la popolarità di Jo divampava. Non cenava più a casa, andava con i suoi nuovi amici al Drop Inn: a Deedee toccava più spesso lavare piatti, e non le sembrava giusto.
«Verrà anche il tuo turno, Deedee» diceva la mamma. Per lei era importante che a ognuno toccasse il proprio turno, ma Deedee sapeva che nella vita non va così. Non tutti diventano presidenti o astronauti o Miss Crema d’Arachidi. Non riusciva a vedersi in gonna lunga e guanti bianchi. Una volta Jo si era messa a piangere perché credeva che nessuno l’avrebbe mai voluta sposare: era a tavola, alle prese con una scodella di spezzatino con piselli, etirava su col naso perché il futuro la intristiva.
Le pareti del salotto erano ricoperte di foto di matrimoni e di bambini piccoli. Deedee si ricordava poco della sorella più grande, Arlene, che si era sposata ed era andata via. Ogni tanto veniva in visita con i figli.
Le settimane volarono. Jo provava e riprovava l’abito da Miss. Sorrideva allo specchio e salutava con in mano un mazzo di fiori immaginario. Non si sarebbe messa gli occhiali, dal carro della fabbrica Renko avrebbe salutato fantasmi sfocati.
Arrivò il grande giorno, freddo e assolato. Passarono i vicini per scattare foto e lasciare torte e biscotti. Jo aveva rinunciato ai dolciumi per poter stare nella gonna.
Nessuno si accorse che Deedee era uscita di casa. I binari dei treni merci portavano verso Corletta, se giravi a destra. A sinistra conducevano al ponte ferroviario sul fiume. Deedee andò lì. Voleva sedersi su un particolare masso per guardare i treni che attraversavano il ponte e il fiume in cui, d’estate, i ragazzi si tuffavano. Una volta Deedee stava per lanciarsi ma rimase paralizzata. Per fortuna non c’era nessuno per urlarle fifona.
Un uomo saltò giù da un treno, prima del ponte. I treni rallentavano in quel punto. Deedee ogni tanto pensava di saltarci su: correva al lato del treno e allungava la mano, ma non si era mai aggrappata.
L’uomo guardò sparire il treno, poi si girò verso il fiume. Vide Deedee che ciondolava le gambe e la salutò con la mano.
Deedee quasi non ricambiò. Era uno sconosciuto.
Lo straniero scese il dirupo. Aveva i vestiti laceri, i capelli lunghi e unti. Il suo zaino probabilmente conteneva topi morti e vetri rotti. La sua barba sicuramente pullulava di pulci. Deedee stava per scappare, ma il tizio aveva l’aria allegra e un aspetto vagamente familiare.
Si fermò a una distanza rispettosa e si scrollò di dosso lo zaino per stiracchiarsi le spalle.
«Hai scelto un posto ottimo per osservare il passare del tempo. Posso sedermi anch’io?»
«Sei un barbone?»
«Lo sono»
«Puoi sederti».
«Grazie», si sedette. Puzzava di acciaio caldo, fumo e gasolio.
Deedee lo fissò, anche se farlo è scortese. Il barbone aveva chiuso gli occhi per godersi il sole. «Ehi mister» disse lei, «sei mai stato astronauta?»
«Tanto tempo fa».
Deedee cadde quasi nel fiume: il barbone era il giovane astronauta nella foto al Museo delle Arachidi.
«Ero anche capitano della squadra di football al liceo» disse lui.
«Ma sei…»
«No, sono vivo, seduto accanto a una ragazza carina»
«Ma il razzo è esploso. L’ho visto in tivù»
«Avrai anche visto in tivù un altro astronauta con la fidanzata in bikini che quando batte le ciglia il mondo fa come vuole lei»
Deedee non sapeva cosa dire.
«La realtà non è televisione»
«Ma cosa ci fai qui?»
«Oggi c’è la Sfilata di Carnevale di Corletta. Non me la perderei per niente al mondo»
«Mia sorella Jo è Miss Crema d’Arachidi quest’anno»
«Fantastico»
«Ehm… non proprio. Crede di essere la regina dell’universo»
«Forse lo è»
«Ma se tu sei stato astronauta»
«Sarà. Ma non sarò mai Miss Crema d’Arachidi»
Deedee rise. «E perché vorresti esserlo?»
«E tu cosa vorresti essere da grande? Un’astronauta?»
Deedee rivide il razzo bianco che si innalzava su una colonna di luce; la scia bianca che esplodeva in fiamme e fumo nero; la gente a terra che urlava e piangeva.
«Non voglio fare l’astronauta» disse lei, triste. «E non sarò Miss Crema d’Arachidi»
«Come fai a dirlo?»
«Lo so e basta»
«E allora siamo in due»
Guardarono passare un altro lungo treno. «Ehi mister» disse Deedee. «Vuoi venire a mangiare a casa mia?». Stava per aggiungere: ti puoi fare la doccia, raderti la barba e mio padre ha dei vestiti puliti da darti.
«Sei gentile, ma se tua sorella è Miss Crema d’Arachidi sarei d’impaccio»
«Non lo saresti»
«E poi stare nelle case non mi piace»
«Ma non hai fame?»
«Ho del cibo per astronauti nello zaino»
Deedee lo guardò, confusa.
«Ne vuoi?»
Deedee lo guardò ancora più confusa.
«Sto scherzando. Sai cosa mangiano gli astronauti? Crema d’arachidi.» Sorrise con quel suo sorriso da eroe: «Vai ora. Farai tardi per il pranzo. Ci rivedremo alla sfilata».
Deedee arrancò verso il ponte ferroviario e si girò per salutare il barbone. Lui contraccambiò, poi si allungò sul masso con lo zaino come cuscino.
Deedee non lo rivide alla Sfilata di Carnevale. Si separò dalla famiglia per unirsi a un gruppetto di ragazzi della sua classe. Passarono i pompieri e gli impiegati del comune in giacca e cravatta, con in mezzo la signorina Olschke, la bibliotecaria.
«È la parata dei cretini» disse Tommy McGrool, che a scuola veniva spesso mandato dal preside.
Grassoni con in testa dei fez rossi guidavano automobili che sembravano giocattoli. Passò una banda dalle uniformi scintillanti, diretta da un’arachide col monocolo. Sfilarono le cheerleader della Casa di Riposo, e altre arachidi antropomorfe che ballavano il tip-tap. Sfilò un camion col rimorchio carico d’arachidi tostate. Un tipo vestito da gorilla ne buttava badilate alla folla.
Passò il carro della fabbrica Renko con a bordo Jo. La gonna le sembrava cucita addosso, e i suoi capelli erano una spumosa onda castana. Aveva in mano una foresta di rose e salutava. Senza gli occhiali vedeva poco, ma doveva sapere che la folla urlava e applaudiva per lei.
Deedee gridò: «Vai, Jo! Sei bellissima!»
Venne buio, e iniziarono i fuochi d’artificio. I razzi lasciavano scie frizzanti ed esplodevano in arcobaleni contro il cielo nero: per pochi secondi scintillarono più delle stelle.
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Immagine di copertina di Ludovica Lombardi