Di Gabriele Esposito
Il bambino che siede dietro di te è molto piccolo eppure ha un senso del ritmo davvero marcato. Ogni circa diciassette secondi punta i piedi sulla sedia di fronte a lui – la tua sedia – e dà una leggera spinta: giusto un doppio tocco d’alluce. Se continuasse così fino all’atterraggio, tenendo in considerazione che ha cominciato già dal decollo, sai che le spinte che subirai durante la traversata saranno duemilacinquecentoquarantuno.
Il bambino siede al posto finestrino, cortesia di mamma e papà: gli piace vedere il cielo, le nuvole, l’oceano che non finisce mai.
Mai.
L’ultima spinta – dev’essere la seicentotrentacinquesima o seiesima – ti fa riprendere il capitolo dall’inizio. È la quarta volta che succede: capisci che faresti meglio a spegnere il Kindle, e potresti anche provare a chiedere a una delle tue vicine di cambiare il posto. Il finestrino è un’attrattiva per tutti e quindi faresti la figura del galantuomo.
La tipa alla tua destra accetta.
Siedi ora in mezzo alle signore: sono piacenti, poggi gli avambracci lì dove anche loro cercano di poggiarlo. Non rifiuti il contatto, non rifiutano il contatto. Ti addormenti, pelle contro pelle.
La donna, quella che che adesso siede alla tua sinistra, è precisa. Ogni circa sessanta minuti ti accarezza la spalla, ti sfiora gentile per svegliarti nella maniera meno brusca possibile: deve andare in bagno. Le sorridi e annuisci, fai alzare la donna che siede alla tua destra, poi ti alzi tu, quindi l’altra, che siede alla tua sinistra, passa ed esce in corridoio. Puoi sederti di nuovo. Quella che siede alla tua destra no: segue la prima verso la toilette, la sua espressione ti spiega che così non dovrà alzarsi di nuovo per far rientrare l’altra al suo posto. Meglio quindi sincronizzare il bisogno. Occhiolino.
Passano tre minuti e sei il solo a doversi rialzare.
Estrai il cellulare dalla tasca anteriore dei jeans, scrolli le pagine virtuali del desktop un po’ di volte. Cerchi un’applicazione che possa darti soddisfazione in assenza di segnale 4G. Apri il social network paralizzato dalla modalità aereo, vedi lo stesso fiume di notizie che leggevi in coda al gate. Non cambia molto perché spesso vedi apparire gli stessi contenuti anche a distanza di giorni e così ora puoi approfittarne per leggere con calma quel che succede nel tuo mondo. Purtroppo realizzi anche che non sei in grado di ricevere alcun “’mi piace”’ alla tua ultima foto, l’abbraccio con Justine.
Chiudi il social network.
Apri l’app per giocare a scacchi. Non è male sfidare il computer perché puoi fare errori e tornare indietro, vedere cosa avrebbe fatto l’avversario di fronte all’alfiere indifeso nella linea di tiro della regina; osservare come l’avrebbe mangiato, e allora provare un’altra mossa, farsene suggerire una dal suggeritore, implementare questa strategia in maniera ricorsiva, riuscire così a dare matto in pochi turni a uno scacchista virtuale dal rating ELO pari a duemiladuecento, grossomodo quello di un candidato maestro.
La donna alla tua sinistra ti fa cenno se per cortesia ti puoi alzare per lasciarla passare. Riponi il cellulare nella tasca, fai come ti chiede con addosso il sorriso del vincitore, ne approfitti per frugare nel bagaglio a mano che hai lasciato nella cappelliera sopra le vostre teste, prendi un pacco di biscotti, ne offri uno al bambino che guarda rapito la scia di un aereo che sta passando proprio ora sotto di voi. I suoi genitori smettono di leggere il magazine fornito gratuitamente dalla compagnia, guardano il figlio, lui guarda te e rifiuta senza dimenticare di ringraziarti. La mamma sorride, gli fa una carezza e gli passa un piccolo tablet con il quale il piccolo inizia subito a video-giocare. La pressione dei piccoli piedi sul sedile della tipa alla tua sinistra, appena rientrata dal bagno, è tenuta costante.
Vedi la tipa sbuffare. Il suono del giochino incalza.
Sei obbligato ad alzarti di nuovo e a far alzare la signora seduta alla tua destra, riapri il bagaglio a mano e tiri fuori le cuffie. Le colleghi al telefono e inizi ad ascoltare un pezzo, un impromptu a caso tra quelli di Schubert, dicono che aiuti a rilasciare certe sostanze nel cervello: ci dev’essere davvero una connessione profonda tra la musica e la matematica, le statistiche positive che ricevi quando c’è campo ti fanno sentire bene nella stessa maniera. La batteria è poca, il concerto privato non dura a lungo e tanto se Spotify non è connesso alla rete non riesce a darti i suggerimenti automatici di ascolto che permetterebbero di lasciarti andare disteso sulla poltrona senza dover smanettare il telefono ogni cinque minuti.
Non ti resta che riaccendere il Kindle.
Il thriller è al trentun percento di lettura, lo apri, sottolinei un periodo già evidenziato da altri sessantadue lettori prima di te; lo rileggi, annuisci, non hai ancora capito dove vanno a finire tutte queste sottolineature ma un giorno sarà eccitante poterle rivedere tutte di fila in un unico documento. Chiudi il thriller dopo pochi istanti: la hostess ti passa un vassoio e preferisci mangiare quando è ancora caldo e leggere senza l’ingombro sul tavolino. Il manzo è molto piccante e la pasta sopra la quale è steso è stata tenuta in cottura per troppi minuti. Le donne sedute ai tuoi lati masticano con rumore, quella alla tua destra ha approfittato delle tue manovre con la forchetta per piazzare meglio il suo avambraccio sinistro nel bracciolo che avete in comune. Tu fai lo stesso con il bracciolo che hai in comune con la donna seduta alla tua sinistra.
Riprendi il Kindle e ti posizioni con il peso da quella parte. La donna sbuffa. Non sai se ora c’entra il bracciolo o se è sempre colpa delle spinte e della musica del bambino seduto dietro di lei.
Hai aperto un saggio che hai letto già per il quindici percento: non apprezzi molto questo tipo di letteratura su dispositivo elettronico perché è più difficile andare avanti e indietro; eppure i numeri – sempre i numeri – ti hanno spinto all’acquisto, l’offerta della casa editrice per l’e-book era molto vantaggiosa. Salti qualche riga in mezzo al capitolo, passi alle conclusioni, annuisci, chiudi il libro, apri una collezione di miti greci in lingua inglese che hai scaricato gratis da Internet della quale hai letto solo il sei percento. Non li ricordavi così pornografici: ti sorprende un’erezione.
La donna alla tua sinistra deve andare al bagno, lo comunichi alla donna alla tua destra, sembra sollevata, stava sudando, è chiaro che ci doveva andare anche lei ma stava aspettando per non doversi alzare una volta in più. Aspetti che la donna alla tua destra sia in piedi e la superi, infili il corridoio tu per primo, due persone in meno in coda davanti a te, altre quattro già lì ad attendere.
Attendi.
Quando è il tuo turno entri nel minuscolo gabinetto con il cazzo già moscio – ci provi a risvegliarlo ma il gabinetto minuscolo lo è per davvero – non hai spazi per fantasticare, era meglio l’oblò con il cielo, le nuvole, l’oceano che non finisce mai. Ottieni una cosa barzotta per metà, e poi ormai bussano, è la signora che siede alla tua destra, la senti commentare qualcosa con quella che siede alla tua sinistra, tu ti limiti a pisciare, in parte fuori, ed esci dal bagno. Torni al tuo posto. Le aspetti in piedi, aspetti cinque minuti buoni nei quali ti devi scansare più volte per far passare altra gente che va in toilette, le hostess con il loro carretto, il bambino che ha deciso di farsi una corsetta per sgranchire le gambe finora incastrate tra il suo sedile e quello davanti. Proprio quello dove siede la tipa alla tua sinistra, che finalmente è tornata al suo posto, seguita da te e dalla tipa alla tua destra.
Col cellulare cerchi campo: sai che non ce n’è.
Il film che stanno proiettando nel televisore comune l’hai già visto ed è la versione censurata di una commedia americana piuttosto volgare, preparata dalla compagnia aerea per poter essere visualizzata anche dal bambino che, seduto dietro alla tua vicina, continua a giocare allo stesso videogioco di due ora fa. Metti lo spinotto delle cuffie nel buco del sedile, cerchi di guardare comunque la pellicola. Ne è rimasta solo la trama, le gag sono sparite. Ti addormenti.
L’annuncio dell’atterraggio imminente ti sveglia, la hostess ti chiede di raddrizzare il sedile, allacciate tutti le cinture, senti il giochino che si spegne dietro di te, rimanete così, nel buio, in silenzio, venti minuti. A bordo centinaia di pensieri tutti simili tra loro.
Atterrate.
Buone vacanze, ti dice la tipa alla tua sinistra, prime vere parole del viaggio. Le lanci l’ultimo sorriso, scendi dalla scaletta di servizio. Tu qui ci vivi. Domani è un nuovo giorno di lavoro.