Madame Verona comes down the hill (Mevrouw Verona daalt de heuvel af), Dimitri Verhulst, Portobello Books, 2009
Dimitri Verhulst, scrittore, giornalista e poeta belga, non ha avuto un’infanzia serena, come si può intuire dal suo esilarante romanzo semi-autobiografico Il purtroppo delle cose (Fazi, 2009). Forse questo lo ha aiutato a sviluppare il suo stile ironico e un po’ brutale di scrittura, legato però a doppio filo alla tenerezza e perfino al legame sentimentale coi suoi personaggi, veri o inventati che siano. Con gli stessi toni ha anche scritto Problemski Hotel (Fazi, 2003), un misto di fiction e report giornalistico senza un filo di retorica che ritrae la vita quotidiana in un centro di accoglienza per richiedenti asilo, nel quale ha passato lui stesso un periodo per documentarsi. Quelle che ho appena nominato sono le due opere di Verhulst che mi hanno convinta a cercare altro di suo e, oltre ad aver ispirato ciascuna un film, sono anche le uniche di cui esiste una traduzione italiana. Di Madame Verona comes down the hill esiste però una versione inglese (la traduzione dall’olandese è di David Colmer) grazie alla quale ho potuto leggermi questa sorta di fiaba su amore, vecchiaia e morte, in ogni capitolo della quale ho avuto l’impressione che l’autore stesse per scivolare nel tragico, nel romantico o nel grottesco ma si fermasse sempre un attimo prima, mantenendo l’equilibrio tra questi registri. La storia è quella di Madame Verona, una vedova che ha amato moltissimo il marito che ha perso in giovane età, Monsieur Potter, col quale si era trasferita in cima a una ripida collina che sovrasta Oucwègne, minuscolo villaggio delle Fiandre. Il villaggio va morendo per la misteriosa mancanza di figlie femmine nella discendenza degli abitanti ed è in queste digressioni sulla vita di paese che s’incontrano i passaggi più surreali e divertenti, come l’elezione di una mucca a sindaco a seguito della tradizionale ricerca di una rapa da parte dei candidati, rinvenuta invece in bocca all’animale o il fatto che l’unica autorità medica del posto sia una veterinaria, motivato da un’argomentazione che a me è parsa definitiva sulle esigue differenze tra la fisiologia, ma pure la vita, umana e quella dei maiali. Non ho parlato di digressioni a caso perché questo libro è quasi esclusivamente composto di queste, frammenti, divagazioni, riflessioni, aneddoti e ricordi, mentre l’azione è quasi inesistente. Quando non descrivono il singolare consesso umano di Oucwègne, i frammenti trattano sostanzialmente di misantropia felice, quella passata della protagonista e del marito, volutamente isolati dal mondo al di fuori della loro coppia, della solitudine meno felice ma ostinatamente voluta da lei una volta vedova, e in senso più ampio di amore romantico, vecchiaia, malattia e morte, in modo crudo ma tenero, senza farne un dramma né un quadretto rassicurante. Le scelte di vita ferme, nonostante l’apparente ineluttabilità del fato, sono un altro tema ricorrente: Monsieur Potter si è impiccato una volta scoperto di essere malato terminale, non prima di aver provveduto a tagliare tanta legna da tenere al caldo la moglie per decenni, Madame Verona sceglie di interrompere la sua vecchiaia quando questa legna finisce, l’isolamento di entrambi in vita è da loro profondamente desiderato e cercato. Solo i cani randagi, che per misteriosa affinità trovano e seguono sempre la protagonista, finendo per motivarne la permanenza in vita molto a lungo, costituiscono un intervento determinante del mondo esterno sul suo percorso.
[Immagine di copertina: foto tratta da Oud-Rekem]