Aldo aveva settant’anni ma ne dimostrava cinquanta, grazie all’egoismo imperturbabile che aveva esercitato per tutta la vita, senza mai cedere al minimo dubbio. E grazie anche alla brillantina Linetti con cui impomatava i capelli, ancora tutti neri, ogni giorno al mattino: barba, dopobarba Prep, acqua di Colonia, brillantina. Il piccolo pettine di osso, lo stesso da quarant’anni anni, non doveva essere spostato di un millimetro dal portaoggetti che stava sotto lo specchio. La moglie di Aldo, Nara, lo sapeva bene. Non toccava niente, nessuno di quegli oggetti unti e sacri per il marito. Si limitava a bussare alla porta di vetro smerigliato del bagno per dirgli di darsi una mossa, Aldo rispondeva con una bestemmia storpiata dalla Multifilter che teneva attaccata all’angolo del labbro: la sigaretta era parte di quel rito mattutino, il fumo denso gli faceva irritare gli occhi, li socchiudeva un po’ mentre continuava a radersi con l’abilità facciale del fumatore incallito, l’unico capace di piegare mento e bocca al rasoio con funamboliche smorfie.
I profumi dozzinali si mescolavano all’odore acre della Multifilter e al vapore dell’acqua calda (con cui bagnava un piccolo asciugamano e se lo portava al volto appena rasato, tamponandolo): una specie di SPA di quart’ordine in cui Nara entrava in apnea, pulendo lo specchio con la manica della vestaglia azzurrina.
Poi Aldo andava in cucina, versava il latte in una tazza Ginori del servito buono, lo allungava con una gran quantità di caffè bollente, prendeva le fette biscottate e andava in salotto, si sedeva al tavolo di rovere e accendeva la TV. Finalmente poteva godere di questo spettacolo nuovo e ingegnoso, mirabolante ritrovato della tecnologia tedesca: il Nordmende color 32 pollici, acquistato con l’intero ammontare della pensione mensile e qualcosa in più.
Quando era arrivato in casa sua aveva pianto per la commozione. Per comprare quel televisore aveva rinunciato ai suoi quindici giorni a Chianciano Terme con il suo amico Angelino, quello ricco che lo passava a prendere con la spider e lo portava all’Hotel delle Terme, e per due settimane non c’erano che cure fisiche, sigarette al mentolo e vedove allegre con cui Aldo intesseva tresche da almeno trent’anni, pensando che Nara non ne avesse sospetto. Lo sapeva eccome invece, ma non le importava nulla. Tanto a casa tornava sempre, ad appestare l’aria con la sua brillantina unta e a pretendere la camicia stirata e il vestito di gabardina per portare la nipotina in centro.
«Allora, che te ne pare del televisore nuovo?»
«Bello! Ma ci posso guardare i cartoni, nonno?»
«Sì, magari dopo eh, ora fammi sentire il telegiornale».
La piccola Margherita scrutava seria il nonno Aldo, sapeva che non doveva essere disturbato mentre guardava il telegiornale. Ma non poteva fare a meno di stare lì, pensando che più tardi sarebbe stata con lui in piazza della Signoria, con il suo vestitino nuovo di piquet bianco, a buttare bricioline di pane ai piccioni e a mangiare il gelato.
Alternava lo sguardo dal nonno al TG. Poi si accorse che il nonno aveva cambiato faccia, all’improvviso, allora guardò di nuovo il TG e vide immagini strane, che non capiva: il Nordmende Color mostrava una specie di enorme scatoletta di tonno accartocciata dallo stivale di un gigante. Poi capì che era una stazione, vedeva un treno, c’erano fumo, muri crollati, ferro, persone che piangevano.
«Vai di là, Margherita, vai con la nonna», disse Aldo, con gli occhi spalancati e la testa frastornata. La Multifilter si spense da sola, consumandosi fino in fondo nel posacenere. Aldo pensò tra sé a cosa avrebbe fatto il Partito, spostò lo sguardo sulla parete, alla foto di Nenni in bianco e nero, di tanti anni prima, e gli chiese scusa da parte del mondo, mimando le parole con le labbra.
Nordmende color
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