Volevo essere Vincent Gallo, Sergio Oricci, Pidgin edizioni, 2021
C’è questa cosa: gigante, sfocata. Si chiama Mercato Editoriale Italiano e sostiene che il racconto non è più visto di buon occhio, che attorno alla sua figura gravitano ormai troppe maldicenze: non riesce a inserirsi, costringe il lettore a un impegno emotivo smisurato, non rende.
Poi c’è la Resistenza. Sono le riviste letterarie indipendenti, che lottano ogni giorno per offrire al racconto un riparo dove riprendere fiato e far sentire la propria voce. Sono le case editrici, che ascoltano quella voce e gli danno spazio senza badare troppo a capricciose logiche di mercato, ma solo per l’urgenza che quella voce porta con sé.
Tra le case editrici che portano avanti la propria personale rivoluzione, una menzione speciale va sicuramente a Pidgin, che, dopo la raccolta di racconti di Francesca Mattei, continua a credere che un’altra narrazione è possibile, dando spazio all’immaginazione colorata di Sergio Oricci.
Oricci, proveniente dal panorama delle riviste indipendenti, già autore di due romanzi e una raccolta poetica, fondatore di un raffinato progetto fotografico-letterario, Clean Rivista, con Volevo essere Vincent Gallo costruisce un mondo che crea dipendenza come la potrebbe creare un pacchetto di Haribo. I suoi racconti sono orsetti gommosi: colorati, elastici, zuccherati, trasparenti, artificiali, alieni. Irresistibili.
Stravaganti e poetiche ossessioni e dialoghi tanto sconclusionati quanto perfetti compongono ogni racconto della raccolta. E ogni racconto, attraverso supposizioni, tracce, rimandi, ne conduce a un altro, restituendo un mondo ordinariamente surreale scandito da una coesione psichedelica.
Ragazzi cane; come distribuire correttamente la carta igienica ai fruitori dei bagni pubblici; problemi ipertricotici; valutare un superpotere la capacità di riconoscere da quanto tempo le persone non si lavano i capelli; assomigliare a tutti i costi a un preciso attore americano; sono alcuni degli ingredienti che Oricci usa per tagliare i suoi racconti, veri e propri oggetti sintetici dal peso specifico di un’ossessione.
Volevo essere Vincent Gallo è il non sense di un mondo che prova a restituire un senso a un mondo ben più riconoscibile: nostalgico, plumbeo, fermo; la nostra contemporaneità, che Oricci muove da un racconto all’altro senza aggiungere niente sulla pagina.
In uno dei racconti della raccolta, un personaggio sostiene che una cosa o la fa bene o non la fa per niente. Oricci l’ha fatta e l’ha fatta bene.
[Immagine di copertina: The Weather Project di Ólafur Elíasson]