Oricci, con Volevo essere Vincent Gallo, costruisce un mondo che crea dipendenza come la potrebbe creare un pacchetto di Haribo. I suoi racconti sono orsetti gommosi: colorati, elastici, zuccherati, trasparenti, artificiali, alieni. Irresistibili.
#fioriblu
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Storia di solitudine di Giuseppe Fiore è il nono racconto della call estiva di IMON. L’illustrazione è di Salvatore Giovanni Scognamiglio
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di Gabriele Esposito.
“Il bambino che siede dietro di te è molto piccolo eppure ha un senso del ritmo davvero marcato. Ogni circa diciassette secondi punta i piedi sulla sedia di fronte a lui – la tua sedia – e dà una leggera spinta: giusto un doppio tocco d’alluce. (…) L’ultima spinta – dev’essere la seicentotrentacinquesima o seiesima – ti fa riprendere il capitolo dall’inizio”. -
di Matteo Candeliere
“Prima di lasciare l’appartamento deve capire se è necessario davvero.
Non c’è un amico a cui chiedere, ad esempio, o una vecchia zia di cui può approfittare? Cammina su e giù per il corridoio, scalzo per non fare rumore. Al piano di sotto vive una famiglia che è meglio non sappia della sua presenza. Si ferma davanti allo specchio dell’ingresso per l’ennesima volta. Una chioma di capelli ricci neri e densi come catrame gli avvolge la testa”. -
di Oscar Palessa
“La punta di grafite attraversa la salita impervia del primo movimento senza intoppi, con il secondo crea il corpo di lettera, abbraccia il vuoto in una regolarità semicircolare, un dito medio contro Giotto e i suoi cerchi: una perfetta “a” corsiva è la prova d’artista definitiva. Mentre la testa si tende verso l’idea pura della lettera, la presa accompagna il pensiero, riflette l’estensione in tensione”. -
di Matthew Licht
“Deedee avrebbe dovuto essere felice: sua sorella Jo era stata eletta Miss Crema d’Arachidi per la Sfilata di Carnevale. Penserete che non è proprio come essere eletti Presidente o scelti per fare l’astronauta, ma a Corletta, Georgia, la capitale mondiale delle arachidi, essere Miss Crema d’Arachidi è ancora più importante”. -
“Nella notte, il vento si è portato via il tetto del ricovero delle galline. Una lamiera spessa, fissata con chiodi da 20. Ha spezzato in due anche un pero carico di frutti giunti quasi alla completa maturazione. Le galline sono fradicie e spaventate”.
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di Luca Lancioni
“Dovevo fare una puntura di antibiotici a una signora che si chiamava Giovanna. Quando entrai in cucina era seduta alla finestra e guardava con sguardo spento il cortile. La salutai. Non si voltò (…)
«Mi scusi. Pensavo che fosse arrivato mio marito…»”. -
“La signorina Merighi fissava il Presidente della Repubblica. Un po’ più a destra incrociò anche lo sguardo del Santo Padre. Poi la chiamarono”.
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«Meucci? Meucci, dico a lei!»«Cosa?»«Alla cattedra».«Alla… ma io, veramente… non lo sapevo, che oggi interrogava…»«Io interrogo sempre, Meucci. E poi di…
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“Cologno aveva usato una parola che a noi in bocca non ci sapeva stare, non a noi ragazzetti che ancora guardavamo il metro e trenta come traguardo irraggiungibile, nonostante ci tenessimo sollevati sulle punte delle nostre Nike Shox ricevute come regalo della prima comunione. (…) Cologno non si chiamava veramente Cologno ma ci aveva detto lui di chiamarlo Cologno (…) Diceva che aveva scelto Cologno come nome non perché Cologno era il luogo dal quale veniva, ma perché era il luogo da cui voleva andarsene”.
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Aldo aveva settant’anni ma ne dimostrava cinquanta, grazie all’egoismo imperturbabile che aveva esercitato per tutta la vita, senza mai cedere al minimo dubbio. E grazie anche alla brillantina Linetti con cui impomatava i capelli, ancora tutti neri, ogni giorno al mattino: barba, dopobarba Prep, acqua di Colonia, brillantina.