Bestiario familiare è un’autobiografia ma potrebbe essere benissimo una favola, di quelle che fanno sognare un’umanità migliore e, questa volta, per fortuna, questa umanità esiste davvero.
#lucagiommoni
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Oricci, con Volevo essere Vincent Gallo, costruisce un mondo che crea dipendenza come la potrebbe creare un pacchetto di Haribo. I suoi racconti sono orsetti gommosi: colorati, elastici, zuccherati, trasparenti, artificiali, alieni. Irresistibili.
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Padre occidentale è una spinta gentile verso la vita, verso una maggiore consapevolezza e presenza di sé stessi, è coraggio, umiltà, forza e anche silenzio, proprio come lo yoga.
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Erba matta di Laura Bosio è guardare dal basso, osservare tutto da un’altra angolazione, indagare diversamente per capire cosa è andato storto e magari provare ad aggiustarlo.
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“La disputa sul Raki è una finestra su tradizioni, paesaggi, vezzi, umori, di un’altra realtà. E affacciarsi da queste finestre per me è un po’ come andare in gita scolastica, da cui torni sempre con qualcosa in più”.
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“Io e Bruegel il Vecchio ultimamente ci incontriamo spesso, forse prima o poi capirò perché. È successo ne La parabola dei ciechi di Gert Hofmann. È successo di nuovo ne La quercia di Bruegel di Alessandro Zaccuri, e in entrambi i casi sfogliare le pagine è stato un po’ come camminare in un’opera d’arte”.
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La parabola dei ciechi di Hofmann, anche se scritto più di quattrocento anni dopo dell’omonimo dipinto di Bruegel il Vecchio, ne è la genealogia narrata, la rappresentazione scritta di come sei ciechi sono diventati arte.
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L’ultimo videogioco che mi ha veramente inglobato è stato Read Dead Redemption. L’ultimo libro, 2666 di Bolaño. Ecco: uniteli insieme e non avrete Timidi messaggi per ragazze cifrate, perché il libro di Ferruccio Mazzanti, edito da Wojtek, non è un western né un romanzo postumo, ma un’esperienza unica.
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Arianna voleva solo vedere cosa ci fosse dietro quella porta. Ma non ci riuscì, né all’ospedale né alla sala parrocchiale. Però sua mamma da quel giorno non la vide più, né quando rientrava a casa, né davanti ai film in bianco e nero del lunedì sera.
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Ieri mattina, poco dopo alzato, ho scritto a un caro amico: «Ma secondo te Sc’vèik potrebbe essere un Lebowski austroungarico?» riferendomi al personaggio del film dei Coen. La sua risposta è stata: «Ma tu pensi sempre a Sc’vèik?»
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Quando ho iniziato a leggere La promessa di Friedrich Dürrenmatt, pensavo che avrei faticato a non immaginarmi il protagonista con le rughe sregolate di Jack Nicholson e le atmosfere dell’adattamento cinematografico di Sean Penn, ma mi sbagliavo: lo scrittore svizzero non ci ha messo molto a farmi capire che avevo di fronte qualcosa di diverso.