Storia di solitudine di Giuseppe Fiore è il nono racconto della call estiva di IMON. L’illustrazione è di Salvatore Giovanni Scognamiglio
#racconto
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Malacarne di Giuseppe Caretta è il quinto racconto della Call Estiva di IMON. Illustrazione di Sergio Kalisiak
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Confessioni di un pedé, di Stefano Serri, è il terzo racconto della Call Estiva di IMON. Illustrazione di Salvatore Giovanni Scognamiglio, XGC
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Racconto in due puntate – I
“Non ho mai pensato che Yuri potesse essere in grado di fare del male a qualcuno e tutt’ora ne sono convinta. Anche ora che lo vedo attraversare Piazza della Resistenza con le manette ai polsi scortato da due uomini nascosti sotto uniformi nere da carabinieri. (…) la sola uniforme è capace di marcare una separazione netta tra chi guarda e chi subisce o, per meglio dire, tra il mondo di chi giudica e di chi è giudicato”. -
di Gabriele Esposito.
“Il bambino che siede dietro di te è molto piccolo eppure ha un senso del ritmo davvero marcato. Ogni circa diciassette secondi punta i piedi sulla sedia di fronte a lui – la tua sedia – e dà una leggera spinta: giusto un doppio tocco d’alluce. (…) L’ultima spinta – dev’essere la seicentotrentacinquesima o seiesima – ti fa riprendere il capitolo dall’inizio”. -
di Matteo Candeliere
“Prima di lasciare l’appartamento deve capire se è necessario davvero.
Non c’è un amico a cui chiedere, ad esempio, o una vecchia zia di cui può approfittare? Cammina su e giù per il corridoio, scalzo per non fare rumore. Al piano di sotto vive una famiglia che è meglio non sappia della sua presenza. Si ferma davanti allo specchio dell’ingresso per l’ennesima volta. Una chioma di capelli ricci neri e densi come catrame gli avvolge la testa”. -
di Oscar Palessa
“La punta di grafite attraversa la salita impervia del primo movimento senza intoppi, con il secondo crea il corpo di lettera, abbraccia il vuoto in una regolarità semicircolare, un dito medio contro Giotto e i suoi cerchi: una perfetta “a” corsiva è la prova d’artista definitiva. Mentre la testa si tende verso l’idea pura della lettera, la presa accompagna il pensiero, riflette l’estensione in tensione”. -
«Guarda, sono spuntate le fragoline».
Michela spinse la sedia a rotelle mentre Cesare tendeva la mano verso il vaso di coccio.
«Guarda come sono rosse», continuò lui. Dal terriccio facevano capolino quattro piantine dalle quali penzolavano delle fragole piccole e pelose. Cesare ne prese una, con la mano tremante e piena di macchie, e se la portò alla bocca. -
di Luca Lancioni
“Dovevo fare una puntura di antibiotici a una signora che si chiamava Giovanna. Quando entrai in cucina era seduta alla finestra e guardava con sguardo spento il cortile. La salutai. Non si voltò (…)
«Mi scusi. Pensavo che fosse arrivato mio marito…»”. -
Nitti l’ha morso. Non lo credeva capace di un gesto tanto vivo. Nitti l’ha morso e non si è staccato per una ventina di secondi. Lui ha urlato, e mentre nella gola il suo dolore prendeva forma in maniera scomposta e istintiva, non ha pensato a nulla: non a toglierselo di dosso; non a mantenere la calma; non a chiamare qualcuno che gli desse una mano. È rimasto a fissare Nitti e i suoi denti di vecchio bavoso e arteriosclerotico, e intanto urlava. Fatto strano, inoltre, è che nessuno l’ha sentito.
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«Meucci? Meucci, dico a lei!»«Cosa?»«Alla cattedra».«Alla… ma io, veramente… non lo sapevo, che oggi interrogava…»«Io interrogo sempre, Meucci. E poi di…
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“Cologno aveva usato una parola che a noi in bocca non ci sapeva stare, non a noi ragazzetti che ancora guardavamo il metro e trenta come traguardo irraggiungibile, nonostante ci tenessimo sollevati sulle punte delle nostre Nike Shox ricevute come regalo della prima comunione. (…) Cologno non si chiamava veramente Cologno ma ci aveva detto lui di chiamarlo Cologno (…) Diceva che aveva scelto Cologno come nome non perché Cologno era il luogo dal quale veniva, ma perché era il luogo da cui voleva andarsene”.