“Io e Bruegel il Vecchio ultimamente ci incontriamo spesso, forse prima o poi capirò perché. È successo ne La parabola dei ciechi di Gert Hofmann. È successo di nuovo ne La quercia di Bruegel di Alessandro Zaccuri, e in entrambi i casi sfogliare le pagine è stato un po’ come camminare in un’opera d’arte”.
#recensione
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Un esordio nel mondo delle lettere con una raccolta di racconti è una specie di cometa di Halley, un evento che crea entusiasmi e speranze, ma Francesca Mattei, con Il giorno in cui diedi fuoco alla mia casa, non delude né gli uni né le altre.
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“Mi viene difficile scrivere di Enne, in quanto ho la sensazione che usare altre parole, rispetto a quelle scelte da Valentina Durante per raccontare questa storia, rasenti il sacrilegio. Immagino di sentirmi così perché leggendo questo romanzo epistolare mi sono imbattuta in un linguaggio essenziale e come distillato, in cui ogni singolo vocabolo dà l’impressione di essere stato selezionato attentamente in quanto indispensabile”.
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La parabola dei ciechi di Hofmann, anche se scritto più di quattrocento anni dopo dell’omonimo dipinto di Bruegel il Vecchio, ne è la genealogia narrata, la rappresentazione scritta di come sei ciechi sono diventati arte.
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“È difficile raccontare l’Iran senza indulgere nell’occidentalismo della “sorpresa”, della “scoperta”, delle “piacevoli rilevazioni” “al di là degli stereotipi”. “Non volevo smontare stereotipi”, risponde Mahsa Mohebali, autrice di Teheran girl. “Eppure non c’è riga del tuo romanzo che non stupisca”, commenta la giornalista”.
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“Dimitri Verhulst, scrittore, giornalista e poeta belga, non ha avuto un’infanzia serena, come si può intuire dal suo esilarante romanzo semi-autobiografico Il purtroppo delle cose (Fazi, 2009). Forse questo lo ha aiutato a sviluppare il suo stile ironico e un po’ brutale di scrittura, legato però a doppio filo alla tenerezza e perfino al legame sentimentale coi suoi personaggi, veri o inventati che siano”.
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I buoni propositi sono fatti per essere disattesi. Ad esempio, per il 2021 mi ero ripromessa di leggere solo libri scritti da donne ma poi mi sono imbattuta in Luce d’estate ed è subito notte dell’islandese Jón Kalman Stefánsson, e posso dire che non leggerlo è Peccato. L’ho finito con la stessa soddisfazione di chi infrange una dieta mangiando una fetta di Foresta Nera in uno sciccoso bar del centro, seduta su un divanetto di velluto rosso e con un cameriere in livrea che ti porta il caffè.
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Sotto ogni albero natalizio ci sono il panettone aziendale glassato al limoncello, i calzettoni della zia, la calzatura ergonomica per quel tendine infiammato che ti fa impazzire e lui: Il Troiaio. E se amici e parenti sanno che ami leggere, c’è una buona probabilità che Il Troiaio si presenti sotto forma di libro. E noi di IMON abbiamo recensito per voi i nostri migliori Troiai.
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“Come molte delle persone che nella vita hanno in qualche modo a che fare con i libri o con la scrittura, faccio sempre più fatica a trovare nella lettura un piacere puro (…) senza che l’analisi finisca col trasferire l’atto su un piano di riflessione tecnica o critica. Kent Haruf per me è stato, fino ad ora, un’eccezione benedetta”.
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“Il progetto prevedeva di supportare un’associazione che operasse nella lotta a qualsiasi tipo di violenza. Dopo una accurata ricerca, la scelta è ricaduta su BeFree, una cooperativa sociale che opera nel centro Italia e si occupa di sostenere le vittime di abusi e di lottare contro la violenza di genere e contro la tratta delle schiave. Il Free Social Poetry si è proposto di sostenere la cooperativa attraverso una raccolta di poesie collettive e singole del collettivo stesso”.
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Come si è posizionato Giommoni di fronte all’orrore dell’immigrazione contemporanea? Con una favola che non è una favola, esattamente come un mare che non è solo un mare, ma anche una vasta distesa di lacrime.
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Essere incinta è come fare un parcheggio a S in centro all’ora di punta: tutti ti fissano, ti danno indicazioni e, nel profondo, pensano che loro sarebbero molto più abili di te (anche se magari non hanno nemmeno la patente).