di Matteo Candeliere
Pubblicato nel 2021 da NN Editore, Urla sempre, primavera si dichiara colpevole sin dalle primissime pagine. Il crimine? È un romanzo politico. Contrariamente a quel che ci si potrebbe aspettare da un comune criminale, però, il romanzo di Michele Vaccari si auto-denuncia, e lo fa orgogliosamente, a testa alta: lo annuncia la quarta di copertina, lo ricorda la bibliografia del suo autore, lo urla Zelinda, la voce narrante della prima sezione del libro.
Un romanzo politico, dunque, ma anche molto di più. In queste 439 pagine troviamo la storia e la distopia di un mondo post-apocalittico, femminista, anarchico, fantascientifico, attuale. Ma andiamo con ordine.
Partiamo dall’inizio.
Le strade di Genova, nel 2022 di Zelinda, risuonano delle cariche della polizia e delle grida delle centinaia di donne che sono scese in piazza a protestare: la Venerata Gherusia, l’oligarchia salita al potere nella penisola, annega ogni forma di protesta nel sangue, e colpisce le donne più duramente di chiunque altro. È infatti diretto a loro l’ultimissimo diktat del governo: da oggi, niente più figli. È una legge assurda, impensabile, che però sconvolge più il lettore dei protagonisti: loro hanno già assistito alla messa al bando della scienza, alla cacciata degli animali, all’imposizione della “lingua nuda”, un italiano ridotto all’osso e sporcato di neologismi che tanto ricorda la neolingua di 1984.
La distopia delle prime pagine si confonde presto in un labirinto che ripercorre diverse tappe della storia del Novecento italiano – dalla Resistenza durante la Seconda Guerra Mondiale, agli scontri del G8 di Genova e gli anni di piombo: un perdersi e ritrovarsi in cui la classica Storia si mischia alle vicende dei personaggi per diventare qualcos’altro – una storia sporcata (e arricchita) dalla fantasia dell’autore, una storia che è ancora possibile cambiare.
Una vicenda così sfaccettata non poteva che assumere una forma letteraria multiforme, anomala, anarchica. Tra articoli, diari, inserti, mentegiornali e visioni, Michele Vaccari si è dedicato alla difficile impresa di donare al suo libro le voci più disparate. E sono proprio le parentesi oniriche, con tutte le loro contraddizioni, a rappresentare il fulcro centrale di questa storia: del resto, i sogni non potevano di certo mancare in un romanzo del genere. Senza, non si possono fare le rivoluzioni.
Se poi i protagonisti, sognatori ma non dormienti, sono talmente ancorati ai propri sogni da affermare che “se chi viene dopo di noi sarà così attraversato dall’indifferenza e dalla totale estraneità a quanto gli accade, a ciò che dovrebbe struggere fino a divorare ogni organo […] meglio vedere estinta la sua presenza sulla Terra”, allora Urla sempre, primavera è soprattutto un romanzo sulla scelta.